Fine vita (terza parte)

Non c’è molta informazione sulla cosiddetta “Legge sul fine vita”, come pure molte persone non sanno bene cosa possono fare in merito.

Una cosa si può affermare certamente: non è certo in favore della vita umana e nel suo pieno rispetto.

Tutto parte dal concetto che si ha del verbo ”rispettare” e della parola” sofferenza”.

Cominciamo dal primo.  Nel Vocabolario Treccani, per esempio, fra i vari significati, per il verbo “rispettare” possiamo leggere:

Riconoscere i diritti, il decoro, la dignità altrui, astenendosi quindi da ogni parola o azione che possa offenderli

Per il secondo, sempre nel medesimo Vocabolario, fra i vari significati abbiamo:

Il fatto di soffrire dolori fisici o morali (…),dolore, patimento

Ora proviamo a mettere insieme i due significati ed a coniugarli riguardo la vita di una persona.

Il vivere nella sofferenza, sia essa fisica, morale o psicologica, comporta un cambiamento nella vita della persona e di coloro che le vivono intorno. Cosa significa tutto questo?

Innanzitutto dipende dal livello e dalla gravità della sofferenza, conseguente ad uno stato di salute (sia fisica che morale o psicologica) che non è più quello di prima, non è più quello che la persona almeno riusciva a gestire forse con maggiore facilità.

Provare dolore, qualsiasi sia la sua origine, comporta inevitabilmente un cambiamento nella vita di ciascuno di noi, e poi a seconda dell’intensità e dell’origine del dolore, le situazioni di vita si differenziano. Per esempio una cosa è parlare di dolore per la frattura di una caviglia, che poi si tornerà a posto dopo la dovuta convalescenza, ed un’altra cosa è il dolore per una malattia cardiaca o per una malattia oncologica. In questi ultimi casi si ha davanti una prospettiva di futuro completamente diversa in quanto, fra le tanti possibilità, c’è anche quella che la propria vita arrivi al suo traguardo terreno.

Ecco a questo punto che arriva l’intreccio col verbo “rispettare”.

Come si rispetta la persona umana sofferente? Parrebbe una domanda con una risposta semplice ma non è proprio così. La risposta non è semplice e soprattutto non è unica, dipende dalle diverse situazioni e dal tipo di sofferenze. Ma dipende anche dal diverso modo di considerare la stessa vita umana.

Sicuramente le sofferenze fisiche, dovute a malattie invalidanti e che potrebbero avere come esito la fine del nostro cammino terreno, sono le più complesse da affrontare sia per la persona malata che per chi le sta accanto.

La sofferenza esige rispetto. Rispettare l’altro significa proprio rispettarne anche le sue sofferenze, i suoi dolori, i suoi pensieri. Significa rispettarne la dignità di persona umana.

Ecco, è proprio questa dignità quella alla quale si appellano coloro che per una “falsa pietà” affermano che bisogna morire in modo dignitoso e per “dignitoso” intendono, il “tagliare il filo” della vita prima che il Signore abbia deciso questo momento.

Il rispetto per la sofferenza dell’altro viene “trasformato” nell’abbreviare la vita della persona che soffre, quasi come se malattia, dolori, e la stessa morte, fossero diventati di intralcio alla nostra stessa umanità.

Rispettare la sofferenza significa, invece, rispettare la dignità di chi sta soffrendo. Rispettare questa dignità significa sostenerla, non turbarla, aiutarla, non abbandonarla. Significa essere accanto a colui che soffre senza farlo sentire un peso ma amandolo.

Un Amore (e la maiuscola è voluta) che deve accompagnare e non deve “forzare” il termine della vita. Amare è essere accanto e far sentire all’altro “io ci sono”.

Il nostro cammino terreno è nelle mani di Dio Padre. Quello stesso Padre che ha permesso che il suo unico Figlio ci amasse al punto di diventare Croce per salvarci.

prima parte

seconda parte

(continua)

Adele Caramico Stenta

(pubblicato su “Amici di Gesù Crocifisso”, n. 1, gennaio-febbraio 2020)