La famiglia oggi e le sue crisi (III Parte)

Secondo elemento: La crisi della vita

Altro elemento di crisi nella famiglia è quello della vita.

Viviamo, infatti, in un’epoca di contraddizioni. Da una parte abbiamo la paura, il rifiuto della vita che porta poi a scelte come quella di non concepire un figlio, oppure anche all’aborto.

Dall’altra invece abbiamo la ricerca di un figlio a tutti i costi, un figlio voluto “per forza” che, se non viene normalmente, si cerca di avere anche ricorrendo alla procreazione medicalmente assistita.

Allora bisogna innanzitutto chiedersi quale significato viene dato alla parola vita e quale alla parola poi figlio.

La vita umana è tra le realtà più preziose che esistano al mondo; senza di essa le altre manifestazioni biologiche non avrebbero una pienezza di senso. Nella vita umana prende forma e si manifesta la grandezza dello spirito, dell’intelligenza e della libertà.

Molto spesso, nel linguaggio comune, ascoltiamo commenti e definizioni contrastanti sulla vita dell’uomo. C’è chi la definisce inviolabile e sacra, ma c’è anche chi non la considera positivamente, chi la sottovaluta e non le dà il dovuto rispetto; c’è chi la sfrutta negativamente e pensa di poterne fare ciò che vuole, specialmente se si tratta della vita altrui.

Per la fede cristiana, e per molte altre forme di sapienza umana, la vita non è “qualcosa” che l’uomo possa manovrare a proprio piacimento: essa è inviolabile e sacra perché è un dono di Dio ed è vita dell’uomo.

Il Creatore ha deciso questo dono gratuito, nel medesimo istante in cui ha voluto e creato l’essere umano come soggetto ed interlocutore di Lui, e quale signore responsabile del cosmo.

Ma quando inizia la vita umana?

La vita dell’uomo, di ogni uomo, da sempre, ha inizio il momento stesso in cui si forma lo zigote, la prima cellula di un nuovo essere umano.

Il momento del concepimento è quello in cui una nuova creatura, ad immagine di Dio, si affaccia alla vita.

Fin da quando Dio benedisse Adamo ed Eva nel giardino dell’Eden dicendo “siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra…” (Gen 1, 28), la maternità e la paternità diventano segno dell’amore del Creatore che vuole che la Sua immagine si perpetui.

Abbiamo detto, all’inizio, delle contraddizioni attuali per quanto riguarda la vita e l’avere un figlio.

Oggi, in effetti, la società vive un periodo particolare, pieno di trasformazioni, e queste si riflettono anche nei rapporti tra le persone ed anche nel modo di relazionarsi tra uomo e donna. Ciò, ovviamente, si riflette pure nella vita di coppia, nella quale esistono delle difficoltà comunicative, a volte anche interne, ma soprattutto nei rapporti con gli altri.

La vita di ogni persona, di solito, è piena di progetti e di desideri da voler realizzare, che portano poi al raggiungimento di quegli scopi, che l’uomo si propone, per la realizzazione di se stesso.

Non avere desideri, non avere attese, significa non riuscire più a vivere in modo pieno. Desiderio ed attesa sono due caratteristiche fondamentali della vita umana, senza le quali l’uomo non vivrebbe realmente.

Perché parlare proprio di desiderio e di attesa? Che valore hanno queste due caratteristiche della vita umana? Dove possono essere collegate?

Desiderare di avere un figlio ci deve far riflettere sulle origini di questo desiderio, per comprendere poi il significato che si dà al figlio stesso.

Desiderio di un figlio non significa volerlo a tutti i costi, ricorrendo a qualsiasi mezzo, anche non rispettoso dell’integrità fisica e psichica del figlio stesso o di altre vite umane.

Tutto ciò si rifà a come il bambino viene atteso. L’attesa del figlio ci dice, infatti, come egli viene considerato dai suoi genitori. Nel momento in cui il frutto del concepimento umano ha la posizione centrale nella vita della madre, o nella stessa coppia genitoriale, il rapporto con lui si trasforma in un rapporto di accoglienza.

In quanto accoglienza dell’altro, diverso da se stessi, il figlio diventa dono per i suoi genitori. L’attesa del bambino (la gravidanza) si trasforma in periodo di preparazione e di crescita  per la coppia, che vede ora concretizzarsi quel desiderio, che, per amore, l’ha  portata a dire di “si” alla vita. Il figlio deve essere frutto d’amore e deve trovare accoglienza fin dal grembo materno. L’amore è tale solo se è oblativo, solo se non vuole nulla per se stesso ma tutto fa per il bene dell’altro. Solo quando si accetta il figlio, così come egli è, allora lo si vede e lo si considera quale dono per i genitori.

Quando il bambino, perde la sua centralità, quando nella gravidanza vengono considerati solo gli interessi materni ed il figlio viene visto quale proprietà della madre, di cui lei può fare ciò che vuole, se la gravidanza non è stata voluta, se è frutto di una non- scelta, è facile arrivare poi,  anche a decidere per la soppressione di questa vita nel grembo materno.

Se il figlio perde la caratteristica di essere dono, diventa un non-dono, qualcuno di cui bisogna “fare a meno”, perché non gradito. Si arriva così al rifiuto della vita, alla non accettazione e non accoglienza del figlio.

Abbiamo parlato prima del paradosso e della contraddizione della nostra società:accanto a chi accoglie la vita, accanto a chi invece la rifiuta, ci sono coloro che la vogliono a tutti i costi, se non riescono ad averla con un normale concepimento.

Il volere un figlio ad ogni costo indica che l’avere un figlio diventa un diritto al quale non si può e non si deve rinunciare. Ecco così il ricorso, sempre più frequente, alla procreazione medicalmente assistita, alle surrogate mother, ai figli fatti fare dietro “commissione”da altri.

Senza volerci addentrare nei particolari di queste metodiche, ci si chiede, a questo punto, ma il figlio, ora, chi è realmente? E’ ancora un dono oppure è diventato un diritto di chi lo vuole?

E, quale amore è quello che si celerebbe, dietro questa pretesa procreativa ? Sarebbe ancora amore vero?

La crisi della vita, nelle coppie, porta ad affermare che ci troviamo davanti a due opposti determinati: vita e non-vita, figlio e non-figlio. Tutto, invece dovrebbe partire dal come considerare la vita umana, incominciando dalla sua primissima manifestazione nel grembo materno.

Il generare un figlio è un evento privilegiato e va visto nell’ottica della vita umana intesa come dono, un dono che noi riceviamo, e siamo chiamati a donare a nostra volta.

La nostra vita non è qualcosa che noi stessi ci siamo potuti dare, ma è un dono che il Creatore ci ha fatto, insieme ai nostri genitori. Quest’ultimi, poi, devono considerare il figlio non come un “qualcosa” di proprio, ma come qualcuno che scaturisce dal dono e che è dono egli stesso.

Avere un figlio non significa che i propri genitori debbano tenerlo sotto il loro potere, e neppure che debbano pretenderlo come fosse un loro diritto, facendolo diventare, così, un oggetto dei propri desideri.

E’ proprio questo che è necessario superare: il figlio non è oggetto, anche se la sua nascita è stata molto desiderata, ma è persona umana. Il volere un figlio a tutti i costi, pur rivelando un grande desiderio di generare ed accogliere una nuova vita, mette in risalto che forse questo bambino non è considerato come dono, bensì come “proprietà” dei genitori, o almeno della madre.

Subentra alla logica del dare senza nulla pretendere, la logica del possedere, dell’avere diritto a generare, creando così una sorta di “egoismo procreativo”, in cui si è disposti ad affrontare qualsiasi cosa, anche la distruzione di altre vite umane, (basti pensare a quanti embrioni “soprannumerari” vengono distrutti, con la fecondazione artificiale), pur di raggiungere lo scopo di avere un figlio “proprio”, che soddisfi comunque il desiderio di maternità.

Ma l’uomo non può sostituirsi a Dio, creando da solo la vita o decidendo chi debba vivere e chi  no. La creatura non può prendere il posto del Creatore: solo Dio può dare la vita e la può far sorgere anche dove tutto sembra impossibile.

(continua)

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Adele Caramico Stenta