La responsabilità dell’uomo nei confronti dei suoi simili

 

Ho ritrovato fra le varie cartelle che ho sul vecchio pc, questo articolo che segue. Lo scrissi e pubblicai nel 2005 ma rileggendolo mi rendo conto che anche oggi, dopo 14 anni, è tutto uguale. Lo pubblico di nuovo, lasciandolo così come lo avevo scritto allora.

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Ogni uomo ha una responsabilità enorme nei confronti dei propri simili: riconoscere la vita e proteggerla, dal momento del suo concepimento fino a quello della sua morte naturale. Ed è un compito non facile visto l’attuale dibattito che c’è sia sull’inizio della vita dell’uomo che sul suo termine.

Riteniamo che l’uomo di oggi, con tutta la tecnologia avanzata alla quale è giunto, non è forse sempre in grado di porsi in “ascolto” della vita, della sua vita personale come di quella dell’altro. L’ atteso non ascoltato e non atteso diventa colui che non è, e quindi da non tenere in considerazione. Così accadendo diventa semplice arrivare a parlare di non rispetto dell’embrione perché non lo si considera vita dal primo istante in cui si affaccia ad essa. Diventa semplice “frazionare” i diversi momenti di sviluppo del neoconcepito in momenti di   “non vita” e momenti di “vita umana”.

Perdendo di vista l’orizzonte misterioso della vita umana, della sua venuta al mondo, l’uomo perde la capacità di rimanere affascinato da una vita che inizia a fiorire, dalla bellezza di quanto di grande stia avvenendo quando si forma la prima cellula di un nuovo essere umano.

La considerazione del mistero, del valore e dell’accoglienza della vita umana può accrescersi solo riscoprendo ciò che sta all’inizio del conoscere umano, e quindi dell’agire: la capacità di provare meraviglia [Il thaumazein “meravigliarsi, stupirsi”, è ritenuto l’inizio della riflessione filosofica a partire da Platone e da Aristotele. “Ed è proprio del filosofo questo che tu provi (Teeteto), di essere pieno di meraviglia; né altro cominciamento ha il filosofare che questo” : PLATONE, Teeteto (155d), in  ID., Opere vol. I, Roma-Bari 1974, p. 284, traduzione di Manara Valgimigli. “ Gli uomini (…) hanno preso dalla meraviglia lo spunto per filosofare” : ARISTOTELE, Metafisica, I (A) 2, 982B 12, in ID., Opere, vol. III, Roma-Bari 1973, p. 8, traduzione di Antonio Russo].

I problemi che oggi agitano le coscienze, e coinvolgono non solo la bioetica, ma anche la teologia e la filosofia, provengono anche dal fatto che riesce spesso difficile provare meraviglia non soltanto di fronte al sorgere ed al crescere della vita fin dal tempo prenatale, ma altresì di fronte alla vita della persona già nata, del bambino, dell’adolescente, del giovane, dell’adulto e dell’anziano. Non si tratta di stupirsi della “vita in sé”, di una vita idealmente “perfetta”, bensì di stupirsi di questa vita  che di giorno in giorno viviamo. Occorre non “abituarsi” alla vita, non darla come una grandezza ovvia e scontata, non ritenerla un semplice diritto, ma riscoprirla sempre di nuovo come un dono.

Importante e fondamentale per la persona umana è il difendere sempre questa vita, questo dono gratuito che ci viene dato e che aspetta solo di essere accettato, accolto ed amato, oltre che difeso. Ci permettiamo di ricordare una frase, che si sente rivolgere Oskar Schindler da un rabbino superstite, grazie a lui, dell’Olocausto:  “Chi salva una vita salva il mondo intero”. Dovrebbe trattarsi di una citazione del Talmud [Ci riferiamo al film Schindler’s List. La lista di Schindler, diretto da Steven Spielberg, e tratto dal libro di Thomas KENEALLY, La lista, Milano 1985. Il personaggio di Schindler è storico]

Non basta solo accogliere l’atteso ed amarlo, ma bisogna agire in modo che altri attesi non diventino non attesi. E’ necessario lottare perché ogni vita sia rispettata fin dall’istante del suo concepimento, sia rispettata nella sua caratteristica principale, nella sua umanità e le sia concesso quel diritto che è fondamentale: vivere e svilupparsi, con tutta la sua unicità, creatività, particolarità, che solo quell’essere umano possiede e che non è uguale quello di nessun’altro suo simile.

La scienza moderna ci ha portato, e continua a portarci, alla scoperta di cose nuove riguardanti l’origine della vita umana. Le tecnologie mediche permettono interventi sull’embrione che prima non si potevano neppure immaginare.  Purtroppo, però, non sempre il progresso della scienza cammina di pari passo con quello dell’amore verso l’altro che nasce o che esiste.

Conoscere in che modo si forma una creatura nel grembo materno deve far esclamare all’uomo nei confronti del suo Creatore: “Mi hai fatto come un prodigio” [Sal 139, 14], e soprattutto deve rendere cosciente l’uomo della propria creaturalità. Riconoscersi creatura significa quindi non mettersi al posto del Creatore, non voler manovrare a tutti i costi la vita. Significa rispettare la vita fin dal primo istante della sua presenza nel grembo materno, significa non  “creare” la vita in un laboratorio per poi farne ciò che più interessa. Significa, quindi, non abusare della ricerca medica per sopprimere embrioni umani, in virtù di una scienza deviata ed insensibile all’etica; significa non intervenire sulla vita umana per programmarla per scopi che non hanno più nulla di umano.

Accogliendo la vita per quello che realmente essa è, un dono meraviglioso del Creatore, la nostra stessa esistenza diventa lo specchio di quell’Amore che si è fatto Croce per salvare l’uomo.

(Adele Caramico Stenta) 21/6/2005