Il rispetto della vita umana nascente

 Sembra una cosa ovvia che si parli o si discuta sul rispetto verso la vita umana. Ma è importante anche quel rispetto che si deve alla vita dell’uomo, prima che questi venga alla luce. Se si riconosce la dignità di persona al bimbo appena nato, non sarebbe spontaneo riconoscergli la stessa dignità anche prima che avvenga il parto? Comunque è lo stesso bambino quello che pochi minuti prima si trova ancora nell’utero e dopo viene alla luce!  

Nell’attuale dibattito su quale “tipo” di riconoscimento dare al bimbo non ancora nato, evidentemente i pareri non sono così concordi ed ovvi, visto che c’è una continua discussione su quando considerare persona umana la vita nel grembo materno, con le dovute conseguenze di quando attribuirle quei diritti di cui gode la persona, compreso quello primario e fondamentale alla vita stessa.

Tutto questo scaturisce dal fatto che non tutti gli studiosi, filosofi, biologi e medici, riconoscono che, fin dall’istante del concepimento, ha inizio una nuova vita umana. Gli oppositori a tale riconoscimento affermano che non si può parlare di individuo umano fino al 14° giorno dalla fecondazione, data in cui avviene l’impianto in utero. Prima di questo momento alcuni studiosi parlano di pre-embrione. Il motivo di questa differenziazione è dovuto al fatto che, le cellule embrionali sono totipotenti, fino a quando non è avvenuto l’impianto nell’utero, perché potrebbe avvenire la formazione di uno o più embrioni gemelli del primo. Secondo coloro che sostengono la tesi del pre-embrione, non è possibile, e né è ammissibile, parlare di una vita umana da considerare individuale, fino a quando il neoconcepito non abbia perso questa totipotenza, cioè solo al 14° giorno di vita embrionale [Cfr.S. LEONE, La riproduzione assistita. Nuove tecnologie ed implicanze etiche, Cinisello Balsamo 1998, pp. 40-41].

Però bisogna tenere comunque presente che, anche nel caso in cui si sviluppi un gemello, questi non scaturisce da una divisione del primo sistema individuale, ma ne è uno nuovo che col primo ha in comune l’origine. Quando accade che prima del 14° giorno una o anche più cellule si distacchino dal sistema originario, si ha la formazione di un nuovo sistema che potrebbe tanto essere riassorbito, se c’è qualche problema, oppure dare luogo ad un secondo sistema che sia simile al primo, ma senza ombra di dubbio non è e non può mai essere una copia del primo sistema e neppure quest’ultimo che si sia sdoppiato.

Ciò porta ad affermare che il concetto di cellule totipotenziali non implica il non poter parlare di individuo umano fin dal concepimento [F. COMPAGNONI, Quale statuto per l’embrione umano?, in M. MORI (a cura di), La Bioetica. Questioni morali e politiche per il futuro dell’uomo, Milano 1991, pp. 95-96].

Da un punto di vista prettamente biologico, possiamo dire che la vita umana inizia nel momento in cui i gameti, maschile e femminile, si uniscono. La cellula, chiamata zigote, è diversa sia dalle cellule materne che da quelle paterne e rivela già una sua specifica identità: ogni cellula derivante da essa, che andrà a formare la nuova persona umana, sarà identica a questa prima cellula [Cfr. S. LEONE, o. c., p. 42]. Nello zigote “è già descritto il colore degli occhi, l’altezza, il timbro della voce, la forma del viso, le attitudini ecc. (…). Anche di fronte a una possibile gemellarità, l’unicità genetica di questa cellula è definitiva” [S. LEONE, o. c., p. 42].

La stessa biologia ammette che la caratteristica scientifica, che va a costituire l’individuo appartenente alla razza umana, è costituita dal codice genetico [Cfr. F. COMPAGNONI, o. c., p. 95]. Da questo processo abbiamo che “biologicamente l’embrione è appartenente alla specie umana subito dopo la fusione dei pronuclei dei gameti, dopo la costituzione di un nuovo codice genetico, di un nuovo genoma. Lo sviluppo di questo nuovo essere, il suo fiorire ed il suo declino fino alla morte, biologicamente è un processo senza salti qualitativi, tali da far cambiare lo statuto biologico dell’essere in questione” [F. COMPAGNONI, o. c., p. 95] . In effetti noi sappiamo, sempre dalla biologia, che l’embrione che viene generato da due organismi appartenenti alla razza umana, è anch’esso umano e quindi ha diritto al riconoscimento della dignità di persona [cfr. F. COMPAGNONI, o. c., p. 95].

Parlare dell’inizio della vita umana ha senso solo se esso rientra in un orizzonte di apertura all’altro e di rispetto per la vita dell’uomo. Per quante argomentazioni si vogliano portare, per negare che la vita ha inizio nell’istante del concepimento, ci sono sempre delle risposte, anche nella stessa biologia umana, che smentiscono tali tesi.

Embrione ed adulto sono diverse fasi di sviluppo di un unico essere umano e la stessa genetica afferma che un essere vivente non può diventare qualcosa di diverso da quello che era già precedentemente; nel corso di tutto il suo sviluppo non perde le sue caratteristiche, e ciò vale anche per l’embrione [Cfr. M. LOMBARDI RICCI, Embrione, in Rivista di Teologia Morale 30 (1998), p. 99].

L’uomo, da quando compare nel grembo materno, e per tutto il suo successivo sviluppo, prima nella vita prenatale e dopo nella vita extrauterina, attraverso le varie fasce di età, che lo portano poi a quella adulta ed alla vecchiaia, non perde mai la sua caratteristica primaria che è quella di essere persona umana. Il suo sviluppo procede in modo indipendente dai genitori dai quali ha avuto origine, la sua vita non è quella di suo padre come non è quella di sua madre. Il suo è lo sviluppo di un essere umano e, non sarà mai umano realmente, se non lo è stato fin dal momento del concepimento [Cfr. Dichiarazione sull’aborto procurato, n. 12 ; cfr. anche Donum Vitae, I, n. 1].

In un’epoca, in cui a prevalere sono le dimostrazioni scientifiche, non si può comunque prescindere dal soffermarsi su delle riflessioni di carattere filosofico. Soprattutto quest’ultime ci vengono particolarmente in aiuto quando, nonostante ci siano tante e varie teorie scientifiche, non si raggiunga un punto di interpretazione del problema che sia comune a tutte. Ricollegandoci a ciò che Aristotele affermava circa la potenza e l’atto, ed applicandolo alle questioni relative all’inizio della vita umana, potremo dire che coloro che non riconoscono la vita umana fin dall’istante del concepimento, è come se considerassero l’embrione come un uomo in potenza: allora questo embrione potrebbe trasformarsi in qualsiasi altra cosa, anche non umana! E ciò sarebbe assurdo. Anche lo stesso fatto che l’embrione sia totipotente, nella fase di preimpianto, ci fa affermare che egli è, comunque, in atto un uomo, almeno “uno” come numero, mentre potrebbe essere considerato un bambino in potenza, allo stesso modo come un bambino potrebbe essere considerato un adulto in potenza o una bambina potrebbe essere una mamma in potenza: ma in atto restano sempre persone umane che non mutano la loro caratteristica primaria, quella di appartenere alla razza umana.

Nel Cristianesimo, il rispetto della vita umana si deve fin dal momento del concepimento. Per colui che crede nel Creatore non è difficile ritenere che la vita dell’uomo non nasca per caso ma è voluta da Dio, e che la propria esistenza, non è determinata autonomamente, ma sempre nell’orizzonte divino. Non è quindi solo il codice genetico a determinare l’uomo, in questo caso, ma esso va affiancato a quel progetto divino che il Creatore ha su ogni sua creatura fatta a sua immagine e somiglianza [Cfr. F. COMPAGNONI, o. c., p. 96], anzi si compenetrano a vicenda e si armonizzano, sempre nell’ambito di quella libertà che distingue l’uomo dal resto del creato.

Adele Caramico Stenta